Nel
post precedente, dato che era già abbastanza complicato e, rileggendolo, mi
rendo conto che dovrò sistemarlo un po’ perché, in effetti, credo non si
capisca un granché, ho scritto un’imprecisione: che la maestra di mio figlio mi
ha parlato del suo trasferimento giovedì. Non è vero. Lei l’ha saputo giovedì,
ma poi non ci siamo incontrate fino al successivo lunedì, quando, con gli occhi
pieni di lacrime, mi ha chiesto se poteva parlarmi un attimo. Lunedì è per
fortuna il mio unico giorno libero, sarà un mese e mezzo almeno che dichiaro
che se sarà bel tempo, tengo i bimbi a casa da scuola e li porto al mare. Poi
piove sempre per cui li porto per le solite quattro ore all’asilo e io mi
dedico a tutto ciò che non riesco a portare a termine durante le settimane,
bollette, pulizie, spesa, cucinare qualcosa in anticipo,…..Quindi ho avuto un
po’ di tempo per parlare con lei con calma. Ed è stata una carezza.
Lei
era molto dispiaciuta, penso perché si è affezionata a Giordano, in primo luogo,
perché è consapevole di stare facendo un ottimo lavoro e quindi voleva restare,
per dare una continuità, uno sviluppo armonioso al loro comune progetto, per
lei e per lui. E invece non si può, per i punti, per una persona qualsiasi che
ha deciso che l’anno prossimo vuole andare a insegnare nella scuola di mio
figlio, proprio a mio figlio. E poi tutti a dirmi che la scuola privata non va
bene per lui. Forse. Ma alla scuola privata, questo non sarebbe MAI successo.
Mentre
chiacchieravamo, le ho riferito del mio colloquio col dirigente scolastico e,
riflettevo con lei, sul fatto che, anche se gli togliessero delle ore
settimanali, frequentando lui la scuola solo fino a dopo il pranzo, e andando
al centro per l’autismo una mattina a settimana, bastano quindici ore o appena
di più per coprire tutto. Lei mi ha domandato se, quindi, anche per l’anno
prossimo, io non prevedessi per Giordano il tempo lungo. E abbiamo spalancato
la consueta diatriba che, però, in questo caso, ha riservato delle sorprese. Le
ho detto qualcosa tipo: non capisco perché insistano tanto con questo tempo
lungo, ma perché lo devo parcheggiare all’asilo fino alle quattro se questo è
già stancante per dei bambini normali? Perché? Tutti insistono che è per me,
per gestire la mia stanchezza, per organizzare meglio il mio tempo, il mio
lavoro. Ma cosa importa?! La priorità, per me, non è gestire meglio il mio
tempo, o avere dei momenti per me, la mia priorità è che Giordano sia seguito,
che Giordano migliori, che Giordano cresca bene, felice. E a lui concentrarsi
costa più fatica, con la sua insegnante, lavora in proporzione più degli altri
bimbi e allora cosa c’è di sbagliato nell’andare a prenderlo dopo pranzo? Cosa?
Così passa la mattina a fare attività, mangia in compagnia dei bimbi, poi ha
una mezz’oretta per sfogarsi in giardino e, ultimamente, sono felice perché
spesso lo trovo sotto il canestro che fa tiri con qualche amichetto. Che male
c’è, se poi lo vado a prendere io? O i nonni? O il papà? O la baby-sitter?
Giordano non viene mai depositato davanti a uno schermo a guardare i cartoni
animati per ore; due volte alla settimana ha l‘educatrice che viene a fare la
terapia con lui, proponendogli i giochi che fanno anche al centro; anche io ho
preparato una serie di giochi simili, che facciamo alternandoci con Isabel,
certi pomeriggi in cui sono a casa; il papà li porta al parco e in bicicletta,
il nonno gli sta insegnando a andare sulla “biciclettina”, come dice lui, la
nonna lo porta a passeggiare “sui sassolini”, una strada sterrata di campagna,
noi andiamo alle feste, delle volte prendiamo il treno o l’autobus e andiamo a
Venezia, o a Treviso, o in biblioteca/ludoteca a leggere e giocare, al parco
giochi. Appena verrà bello, andremo in piscina, che me lo stanno chiedendo da
un po’, o al mare, se il lunedì smette di piovereJ
Amo fare delle cose con loro, perché ora che sono un po’ più grandi,
apprezzano, sono entusiasti, si godono tutte le novità. Anche Giordano è
felice, anziché trovarsi in difficoltà di fronte a un’esperienza nuova, come
sarebbe capitato tempo fa, e penso che questo progresso, al di là della sua
maturazione personale, sia dovuto in parte anche al fatto che non ci siamo
rinchiusi, che siamo andati in giro, anche quando era difficile, quando lui era
oppositivo, quando piangeva sempre ed era una sofferenza fare qualsiasi cosa. A
questo punto, la sua insegnante mi guardava con gli occhi spalancati e mi ha
poi detto che era la prima volta che le succedeva,c he di solito i genitori ei
bimbi con difficoltà li portano all’asilo anche solo per le ore pomeridiane,
dopo che magari hanno passato la mattina in un centro specifico. Mi ha riferito
che l’anno scorso le capitava ben tre volte alla settimana che un bambino
arrivasse a scuola dopo pranzo per poi restare fino alle quattro, e che per lei
era più un lavoro di babysitter che uno da insegnate perché il tato era così
stanco che non si poteva far altro che coccolarlo. Ecco, io mi chiedo: “Ma come
si fa?”. Intendiamoci, farebbe comodo anche a me che loro rimanessero a scuola
fino al pomeriggio, avrei un minimo più di tempo per me, sarei più tonica,
riposata, avrei la casa più in ordine, avrei più tempo per la vita sociale, per
scrivere, leggere…..
Però
penso anche che i figli uno non li faccia per questo, penso che loro siano la
priorità, soprattutto quando hanno più difficoltà degli altri. Finito il mio
discorso, la maestra mi ha guardata e ha commentato: “Sono felice di sapere che
esistono anche queste realtà, non mi è mai successo prima, ma è bello”.
Questa
è stata una delle mie carezze, questa settimana, perché il mio modo di essere
madre è l’unico che io conosca, l’unico possibile per me e mi sembra strano che
venga considerato anomalo. E non mi interessa neanche, io voglio poter fare
quello che sento. Perché è il mio bambino, il mio amore. Non ho la presunzione
di sapere sempre cosa è meglio per lui, però in questo caso sì. Pienamente
appoggiata dalla sua insegnante. Grazie, Giulia.
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