Questo blog è nato almeno due anni fa. Nella mia mente solo, in realtà. E forse riesce a concretizzarsi ora, forse no, però voglio almeno darmi l'opportunità di provarci. Origina dalla solitudine profonda, sconfinata che ho provato quando mi sono resa conto che il mio bambino era diverso dagli altri. Dall'imbarazzo che leggo negli occhi delle persone quando lui ha dei comportamenti che risultano anomali in pubblico. Dalla paura e il disagio che provo quando penso che non so come evolverà. Dalla pena che provo per lui perché so che vivere è difficile per chiunque e che la sua strada sarà di certo più ripida di altre. Dalla lotta quotidiana intrapresa con la sanità, ma anche con la scuola e perfino con suo padre. Una vicina di casa del miei genitori, che conosco da quando ero bambina e che è madre di un figlio gravemente disabile, mi ha detto un giorno: "Non scoraggiarti. Ogni mattina, ricordati di indossare l'elmo ed esci a combattere". Ecco, forse l'elmo non basta, ci vuole anche l'armatura, almeno a metà, quanto basta per proteggere il cuore, lo scudo grande, per difendere lui e sua sorella, oltre che me stessa e qualche volta anche la spada. Che non guasta. Preferisco l'idea dell'elmo a quella di molte poesie in cui madri di figli con difficoltà si pregiano quasi di aver avuto questa opportunità. Per quanto mi riguarda, sarà che il mio senso di fede è fermo al cantiere con la scritta work in progress, non mi ritengo in alcun modo fortunata, non trovo alcuna consolazione né adrenalina nell'accogliere questa sfida. Fortuna è avere bambini sani, che scoprono il mondo da soli, che imparano a camminare e parlare in tempi giusti, spontaneamente. A me è capitato lui. Meraviglioso e a tratti incomprensibile. Un passetto alla volta, con grande fatica. E l'unica speranza, l'unica forza è l'idea che, finora, non ci siamo mai fermati. E farò tutto quanto in mio potere per riuscire ad andare avanti. Sempre. Però non mi nascondo. Non lo nascondo. Non me ne vergogno. E' così, qualcosa si è inceppato in qualche punto. La gravidanza è stata splendida, io non bevo e non fumo, non l'ho mai fatto. Giordano è stato desiderato e amato. Giordano non ha niente che non vada biologicamente. Gli esiti di tutti gli esami sono in ordine. Eppure non è un bambino come gli altri. E molto probabilmente non lo sarà mai. Questa è la situazione. E da qui si parte. Con tutta la serenità di cui siamo capaci. E se qualche accenno alla nostra esperienza può servire a qualcuno a sentirsi meno solo o anche solo a sapere che da qualche parte nel mondo qualcuno combatte la sua stessa battaglia, a noi fa piacere.

martedì 29 dicembre 2020

 "Hai diciotto anni oggi. E cosa è cambiato?". Una canzone di Lorenzo di una vita fa comincia così e oggi mi batte in testa, come incipit di uno dei pochi post che sento lo stimolo di scrivere in questi anni. "Hai undici anni oggi. E che cosa è cambiato?". Che ci troviamo nel mezzo di una pandemia mondiale, che a settembre abbiamo abbandonato la scuola primaria, che ci aveva regalato quattro anni di pace e progressi costanti per affrontare con entusiasmo il passaggio alla media inferiore. Che è stato un disastro indicibile, nonostante preparassimo da un anno questo salto. Oggi ho passato quasi un'ora al telefono con una psicologa del Centro per l'Autismo che ti segue per un'altra questione. Ed era concorde nell'affermare che non basta avere un'insegnante di sostegno abilitata, preparata teoricamente. Ci sono così tante sfumature che collaborano alla buona riuscita del tuo percorso, che tutto deve funzionare; invece, quest'anno non ha funzionato nulla. L'insegnate abilitata c'è e c'è stata dal primo giorno, ma forse non vi siete trovati; forse lei è una di quelle persone affascinate dall'autismo, ma tu hai bisogno di qualcuno che riesca  a coinvolgerti ed insegnarti. A tenerti in classe, a farti lavorare coi tuoi compagni, che ti accompagni, aiutandoti, però, ad essere autonomo. Non è facile, non è per tutti, il COVID-19 ha solo leggermente peggiorato una situazione che sarebbe stata comunque pesante per te, per noi. Il vantaggio è che non è la prima volta e ora sappiamo come fare. Ho sistematicamente passato ore al telefono con la dirigente, con l'insegnante di sostegno e altrettante ore a parlare con te. Che hai un problema grande. E ci sguazzi dentro evitandoti ogni seccatura, forte delle tue difficoltà. Sono stati mesi duri, in cui abbiamo lavorato molto a casa, io e te, non dimenticandoci tua sorella. A scuola non facevi nulla, scappavi, dicevano, rifiutavi qualsiasi proposta. A casa no. Ci provi. Provi a dire che non hai voglia o non ci riesci, ma io non sono ancora pronta a dire che siamo arrivati al massimo che tu puoi dare. Spero di non essere mai pronta a questo.

sabato 3 agosto 2019


5.58.due agosto duemiladiciannove
Decollo del volo Latam 892,noi sopra, partiamo da Santiago de Chile in direzione La Paz. Ecco, ora a vederlo scritto, mi da quasi l'impressione che sia vero, che sul serio io e i miei nani siamo in Sudamerica, zaino in spalla, come viaggiatori incalliti, saltellando da una capitale all'altra. Non mi sembra possibile essere salita un giorno all'alba a Venezia, sul volo per Roma, aver trascorso la giornata a spasso tra i quattro monumenti che noi ci eravamo messi d'accordo di visitare, di essere poi salita la sera stessa su un aereo molto più grande e pesante, il cui decollo è stato lento e basso. Aver  superato indenne quattordici ore di volo, controllo passaporti, ritiro bagagli, transfer. Lo so, lo so, ordinaria amministrazione, ma non per me con il mio bimbo. Non per me dopo tutto questo tempo a terra. E'anche il mio volo più lungo da anni. Essere qui, ora, su questo aereo attraverso le Ande, mi da una forza incredibile, è una di quelle volte in cui tutto mi sembra ancora possibile. 


Ora che i giorni passano e l’idea iniziale che avevo sta diventa realtà passo dopo passo, l’emozione si avvolge a un filo di apprensione. Pochi mesi fa, Iris, d’impulso mi ha chiesto: “Mamma,perché non andiamo a trovare don Giorgio?”. Avevo la risposta pronta, prontissima. “Amore, perché don Giorgio abito dall’altra parte del mondo, in sud America, non possiamo”. E mentre queste parole, bene allineate in fila stavano uscendo dalla mia bocca, mi sono chiesta se davvero non avremmo potuto, cosa che lo avrebbe impedito? IL fatto che la Bolivia sia effettivamente dall’altra parte del mondo, i voli costosi, le 20 ore di aereo da affrontare, la povertà, il disagio, il fatto che sarei partita da sola coi bimbi? Alla fine ho risposto semplicemente che ne avremmo potuto parlare e mi sono mossa dal giorno stesso per vedere come procedere.

Per una volta, ho deciso di non farmi prendere dalla paura, le preoccupazioni e i diecimila pensieri di problematiche possibili. Ho iniziato a trovare soluzioni. La Bolivia è un Paese mal connesso col nostro, lontanissimo, remoto. Ho chiesto al papà dei miei bambini se avrebbe potuto emettere per noi i suoi biglietti scontati, ho iniziato a considerare se il mio bellissimo bambino autistico fosse in grado di sostenere tutte quelle ore di volo. Ma anche se avrebbe retto la mia principessa, e io con loro. Allora, ho pensato che, dal momento che il volo sarebbe stato di notte, forse sì, ce l'avremmo fatta. Ma ho concluso che avremmo dormito ancora meglio se prima avessimo trascorso la giornata a spasso per Roma, visto che di là saremmo dovuti passare. Ho letto blog,post, parlato con don Jorge, che vive lì da tutta la mia vita e cominciato a mettere insieme i pezzetti per costruire itinerario e gestire necessità. E ora ci sto ancora lavorando. Comprando sacchi a pelo e prenotando vaccini, passando ore a visionare foto di deserti coi bambini per creare in loro aspettativa, emozione e attesa. Anche io mi sto emozionando con loro. Perché viaggiare insieme a loro senza limiti, senza paura, fare veri viaggi, mi fa sentire che tutto è ancora possibile. E'successo quattro anni fa, la prima volta. I nostri primi novecento chilometri. La nostra prima sveglia all'alba. La nostra prima destinazione sconosciuta. Con un'amica incontrata in un altro viaggio e la sua famiglia che ci aspettavano al punto d'arrivo, come don Jorge qui. Facciamo un lungo giro da soli e poi ci troviamo insieme a lui. Avremmo voluto vederla coi suoi occhi, la sua Bolivia,e avrebbe voluto anche lui, ma il suo medico ha sconsigliato al suo cuore l'altopiano. Speriamo che non faccia nulla nemmeno al nostro, di cuore, nulla di diverso dal riempirlo di belle sensazioni

lunedì 18 giugno 2018

Quanta emozione rileggere queste pagine. E' proprio vero che ciò che non si ferma sulla carta, vola via, si dimentica, sbiadisce col tempo.  Ciò che non passa è il dolore, a volte mitigato da blande vittorie. Ci sono giorni in cui guardo il mio bambino straordinario, che ora scrive, legge, conta, studia storia e mi sembra che non potrei amarlo di più, mi pare che non potrebbe essere diverso, con quel suo modo di guardare le persone negli occhi e capire esattamente come si sentano. Altre volte che mi sento solo in colpa, per non essere stata in grado di offrirgli lo stesso cervello di tutti gli altri, per essere alle volte troppo distratta per riuscire a comprenderlo e rispettarlo davvero come merita. Perché lui manifesta, ma parla poco, bisogna saperlo "ascoltare"; e non alza mai la voce. Non alza la voce e spesso è più adeguato al contesto di quanto lo sarebbe stato anche solo un anno fa. Oggi, ad esempio, siamo stati a vedere un breve fil in 7D. ha tenuto gli occhiali quasi tutto il tempo ed era felice ogni volta che c'erano rumori forti o il simulatore si muoveva sotto di noi. Era andato sulle catenelle e aveva mangiato zucchero filato alla ciliegia. Un bimbo come tutti. Altre volte no. Da qualche mese, non gli guariscono le ferite alle gambe perché continua a grattarsi via le croste e sulla tenda dei vicini del piano terra giacciono almeno dieci pezzi di un filo da ricamo verde che avevo in casa perché si fissa a veder oscillare il filo all'aria e, poi, qualche volta, lo fa volare giù.

martedì 18 aprile 2017

Due anni quasi che non scrivo. Ma oggi sì. Sono stati anni importanti, di passaggio, se riprendo il blog ne scriverò. Ora voglio parlare del nostro primo museo, l'altro ieri, in Ungheria. Da due anni appunto, non perdiamo occasione di metterci in viaggio, e ne abbiamo percorse di distanze, noi tre insieme, la nostra macchina come una piccola navicella che si sposta nel mondo. Pasqua in Ungheria, Riccardo lo ripete da due mesi a questa parte, come un mantra, non avrei potuto disdire. Siamo andati in una cittadina termale incantata, vicino al Lago Balaton. Domenica abbiamo visitato il castello di Keszthely e Iris insisteva per entrare a visitare il suo primo palazzo delle principesse e il museo delle carrozze. Io avevo un attacco d'ansia già all'idea, ma era giusto tentare, a lei vengono negate molte cose della sua età perché non sono adeguate a Riccardo. Prima abbiamo calmato una crisi di pianto all'idea di andare a visitare il palazzo, poi abbiamo fatto un patto: "Ricky se visitiamo il castello con calma e stai tranquillo, dopo ti prendo il gelato": Siamo entrati, avevo la tensione alla gola e lui era sull'orlo del pianto continuamente. Cercare di evitare che si attaccasse ai cordoni che creavano il corridoio attraverso cui passare per le stanze, provare sempre a trovare qualcosa che attirasse la sua difficoltosa attenzione, narrare le vicende di re e regine di cui non sapevo niente con voce suadente che ci permettesse di arrivare in fondo senza lacrime. E intanto spiegare con calma a Iris a cosa servivano le stanze e i vestiti e i quadri e la statua del bassotto di famiglia. Sono uscita provata. Certo, è stato un successo, alla fine siamo riusciti, riusciamo sempre. Ma qual è il costo del riuscire? Vorrei, alle volte, prendere per mano i miei bambini e camminare serena verso il futuro. Spesso non è possibile.

sabato 23 maggio 2015

Io sarò anche stronza, ma pure tu....


Oggi decido di portare i bimbi ai gonfiabili, vista la pioggia ininterrotta di questi ultimi giorni. Benissimo. Sto studiando in maniera matta e disperata, per cui mi porto pc, ma chi mi conosce o ha un figlio con difficoltà, sa che non ci  si può mai rilassare, per cui mi sono alzata, ho scivolato con loro, gli ho rispiegato le regole dieci volte. A un certo punto Riccardo era con Iris su un piccolo scivolo parzialmente coperto alla mia vista insieme a una bambina più grande e più grossa di lui che aveva cercato più volte di attirare l’attenzione di sua mamma ma, essendo lei immersa in una infinita chiaccherata con un’amica, non aveva mai risposto. Riccardo a un certo punto viene da me piangendo, e dicendomi qualcosa di poco preciso che non capisco, ma non ce l’aveva con sua sorella perché, in quel caso, lo dice forte e chiaro di solito, per cui è probabile che l’altra  bambina gli abbia fatto qualcosa. Riccardo torna poi sullo scivolo e due secondi dopo sento la suddetta madre urlargli ”Basta, non spingerla, non si fa così”. Mi alzo istantaneamente, ma non vedo nulla e lui si è già fiondato nel recinto delle palline. Lo tiro fuori, lo rimprovero, gli chiedo di scusarsi con la bimba, mi scuso con la madre e con la bimba, che è viva e vegeta. Mi pare che l’argomento possa essere chiuso, ma la madre continua:”L’ho visto che la spingeva con cattiveria proprio”, mi sale spontaneo alle labbra: “Mio figlio è autistico, non fa mai niente con cattiveria”. “Ah, scusa, pensavo fosse normale”. Da qui in poi, anche se lei insisteva, io sono stata  zitta. Ma da allora, mi sono salite alle labbra svariate risposte, tipo “Ci siamo entrambi scusati sia con te che con la bimba. Vuoi denunciarci? Fallo, siamo assicurati”. Oppure, “Se avessi trovato due secondi per guardare la tua, di figlia, magari ti sarebbe caduto l’occhio anche sul mio, di figlio, visto che a quell’ora, di bimbi, ce ne saranno stati tipo sei e ti saresti accorta che era un po’ diverso e non avresti sclerato dopo”. Oppure “Tranquilla, ho un figlio disabile, sono abituata alla gente stronza”. O “E se fosse stato normale?I bambini non si spingono mai? La tua non te l’hanno mai spinta? Cavolo, sei stata fortunata, perché sul mio ha alzato le mani perfino la maestra all’asilo”. Invece, non ho detto nulla, stomaco in gola e lacrime che ho trattenuto con ogni forza. Lei è tornata a casa tranquilla e quella figlia non crescerà certo bene, con una madre così. Però le lacrime me le ha fatte uscire Leonardo, un bambino di nove anni, due minuti dopo. In questo parco, sul trampolino può stare un bambino solo alla volta e può fare dieci salti, poi deve uscire e lasciare il posto. A Ricky spiego questa regola tutte le volte, la capisce, ma la volta dopo che andiamo, dobbiamo rispiegarla. Allora vedo che salta con un altro bimbo, mi dirigo subito verso di loro e gli dico che può stare solo uno, che deve uscire, deve contare dieci salti,etc…Il bambino che è dentro con lui mi guarda e mi chiede “E’ disabile?”.Il mio timido “Sì” si soffia fuori dalle mie labbra e lui sorridendo mi dice “Allora è come mio fratello, lui” e me lo indica. Gli dico che allora se sa come comportarsi con loro, che butti fuori Riccardo, che non è il suo turno. Lo accompagna fuori, ringrazio e cambiamo gioco. Mi ha disarmata, stavo andando dalla sua mamma per dirle che ragazzino in gamba fosse, poi mi sono resa conto che erano con la baby-sitter e ho pianto e basta. Perché se è vero che i fratelli hanno un carico pesante da portare, è vero anche che per forza di cose avranno una sensibilità altra. Un abbraccio virtuale a Leonardo e al suo fratellino dolce. E la solita riflessione: io sarei stata sensibile e attenta comunque, quindi se i bambini diversi capitano per una ragione, io devo ancora capire la nostra. Di certo non è quella di rendermi una persona sensibile. L’altra è: se le mamme dei bambini disabili devono stare attente a non diventare troppo acide e stronze, quelle che lo sono già, senza nessun bambino disabile, cosa potranno mai fare?!?! Era pure brutta da vedere…si sa…..la bellezza viene da dentroJ

martedì 7 aprile 2015

Ce la faremo

Chiunque scriva per professione sostiene che scrivere non sia un attimo di ispirazione, ma un esercizio giornaliero, di forza di volontà, di costanza. Mai come ora do loro ragione. Scrivere questo blog doveva servirmi per scrivere regolarmente, così mi ero ripromessa, per me, per i miei bimbi, per mettere briciole lungo il cammino, che avremmo potuto raccogliere ricordando insieme. Invece ho smesso. E non ho scuse. Mi sono fatta scoraggiare da chi sembra messo di proposito sulla tua strada per suggerirti che ogni tuo sforzo è inutile e che tanto solo fino a lì potrai arrivare. E io invece non posso lasciarmi scoraggiare. Da nessuno.
Perché ho la tua manina nella mia, fiduciosa. E vieni e mi dici "Tanto bene alla mia piccola mamma Ketty. Abbracciami forte". E io te lo devo.  Perché sono reduce da un convegno sull'autismo nella nostra provincia e ciò che mi è apparso lampante, è stato l'intervento di una delle psicologhe che lavorano nel centro che ti segue, che ha detto che tutti gli adulti che segue sono averbali, mentre solo due dei bambini non parlano. Questo, ai miei occhi, vuol dire solo che con l'opportuno approccio, si possono imparare tante cose. Che non posso farmi dire adesso cosa farai e cosa no, ma devo permettermi di sognare, di sognare però facendo tutto ciò che posso. Per te, per voi. Per Iris, che adesso è in piena fase "maestrina" e ti fa praticamente la terapia lei, per me che sono in pieno delirio con la scuola e il corso di abilitazione, ma nonostante tutto sono più tranquilla e accogliente di qualche tempo fa. Per i tuoi nonni, che sono diventati degli esperti e che per quest'estate si sono proposti l'obiettivo di togliere le rotelle alla bici. Per chi ti conosce poco e poco sa di autismo, ma ci pensa così tanto che ha già disegnato i premi per i rinforzi positivi. Ce la faremo. La piccola mamma Ketty te lo promette, amore mio.